Stephen Chidwick è stato recente protagonista del podcast di Jonathan Jaffe, e ha regalato in questa lunga diretta alcune perle molto interessanti.
Ci concentriamo oggi principalmente sul discorso focus, concentrazione, skill nella quale Chidwick è gran maestro.
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Jonathan Jaffe tira fuori una citazione di Ike Haxton che riguardava proprio il campione inglese:
Molte persone che sentono una forte pressione a dare il 110% in ogni mano tendono anche a passare meno tempo al tavolo rispetto a quanto potrebbero. Poi ci sono eccezioni che riescono a fare entrambe le cose.
Questo mi fa pensare a Stephen. Lui sembra incredibilmente concentrato per tutto il tempo in cui è al tavolo e, oltre a questo, fa sempre le scelte giuste, come fare il rebuy già dalla prima mano.
Dvoress è un altro esempio, anche se non trasmette la stessa intensità di Stephen. Tuttavia, penso sia allo stesso livello.
“Ne avevamo già parlato,” ricorda Jaffe. “Prendevi appunti tra un livello e l’altro per valutare come ti sentivi, come giocavi e quanto fosse buono il tuo focus, con l’obiettivo di migliorare al massimo. Com’è mantenere questa concentrazione al tavolo?”
Ecco la risposta di Stephen Chidwick:
“Per molto tempo ho eliminato alcune decisioni come «quando fare rebuy?» o «dovrei shovare alla prima mano?». Avevo già deciso tutto in anticipo.
Voglio sempre giocare il più possibile, se sento di giocare meno bene o mi sento meno pronto a giocare, allora voglio lavorare sul giocare il meglio possibile quando non me la sento.
È stata una decisione attiva quella di rimuovere quelle decisioni, e dirigere semplicemente tutto il mio focus verso ciò che posso controllare in quel momento, ovvero quanto bene posso giocare.
Sono sempre stato motivato dal desiderio di migliorare e fare le cose meglio rispetto al passato. Prendo nota dei momenti difficili; ad esempio, non è facile ricordare quanto fossi concentrato durante un’intera serie Triton, o come gestivo le mie emozioni tra una mano e l’altra.
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Questa è stata la motivazione per pensare, ad ogni pausa, a come fossero gli ultimi due livelli, quanto fossi coinvolto, e a cercare dei pattern. È anche un modo per vedere se il mio lavoro fuori dai tavoli avesse effetti tangibili o fosse una perdita di tempo.
Dopo un po’ tutto questo è diventato troppo restrittivo, opprimente. Mi sembra che mi giudicassi troppo severamente senza permettermi alcuna libertà. Quando sono riuscito a sfogare quella pressione interna, di passare ogni minuto in modo ottimale, le cose hanno iniziato a fluire in modo più naturale, e mi ha dato delle opportunità che non vedevo o a cui non davo abbastanza credito prima.
Per esempio prima cercavo questa immagine precostruita di me, dove mi dannavo se mi distraevo durante uno showdown, o perdevo un’azione. Ma così mi perdevo la ricchezza di una situazione, piccole cose dette dalla gente… Direi che essere più ricettivo della situazione generale mi ha dato accesso a uno stato di flow più frequente, insight che forse non avrei visto rimanendo concentrato su una cosa specifica decisa in precedenza.”