Dal 1 luglio è disponibile in libreria e online ‘Poker Boy’, autobiografia di Dario Sammartino scritta a quattro mani con l’amico scrittore Nelson Garofalo.
In esclusiva pubblichiamo un estratto del libro in cui Dario Sammartino racconta il secondo incontro con Mustapha Kanit agli albori delle rispettive carriere.
Al termine della trasferta ‘Potta’ si trasferì a Napoli per vivere qualche mese assieme a Dario e tra i due giocatori, attuali primo e secondo della All Time Money List Italy, si creò un legame indissolubile.
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Il volo per Malta
«Mi sa che quello è il mio posto» disse una voce alle mie spalle sul volo per Malta. Era il febbraio del 2010 ed ero in partenza per il torneo. Mi girai di scatto e, all’improvviso, non riuscii a credere ai miei occhi: Musta!
Era la prima volta che lo rincontravo dopo l’Egitto. Si mise a ridere e mi fece notare che eravamo seduti l’uno dietro l’altro. Mi venne spontaneo colpirlo forte sulla spalla con dei pugnetti ben assestati. Iniziammo a parlare di poker, della possibilità di trovarci l’uno contro l’altro e della speranza di riuscire a fare della nostra passione un mestiere. Quando ci salutammo, non ricordo chi dei due disse solo: «Speriamo che la prossima volta che ci ritroviamo vicini sia al tavolo».
Sorridemmo, senza sapere ancora se la sintonia che c’era tra di noi si sarebbe trasformata in una profonda amicizia o in una persistente rivalità. In qualunque caso il nostro legame era troppo speciale per trattarlo con indifferenza.
Al torneo si erano iscritti 350 partecipanti, con una quota d’ingresso di 1000 euro. Arrivammo entrambi “in bolla”, la fase che precede la zona a premi, dove restavano poco più di 30 partecipanti. La fase più emozionante del torneo, perché se non stai attento puoi essere eliminato a un metro dal traguardo. Avevo paura di uscire ma poi mi sono guardato intorno: gli altri non avevano meno paura di me. Lì ho capito che potevo sfruttare la mia paura: per farlo dovevo pensare che quella che provavo io era la stessa paura che attanagliava gli altri. Andai all-in per sette volte di fila. Gli altri passarono tutti.
È evidente che in una fase di gioco di questo tipo il tuo coraggio ha bisogno di sedurre la fortuna. Se questo non accade puoi farti male. Giocando io in maniera così aggressiva, gli altri avrebbero visto solo ed esclusivamente se avessero avuto dei punti fortissimi. E non era il momento di rischiare. Per loro. Da short riuscii a diventare chipleader – il mio risicato mucchietto di chips iniziali, insomma, diventò il più grosso del tavolo – e così entrai a premio.
Insieme al final table
E chi mi ritrovai al tavolo successivo? Musta. Il destino stava giocando a incollarci; da compagni di viaggio sull’aereo io e Musta ci trovammo seduti di fianco al Final Table. Non ci aiutavamo come fossimo compagni di squadra, perché il gioco non lo consente, ma non ci attaccavamo nemmeno. Si stabilì un rispetto naturale. Non c’eravamo messi d’accordo, ma era conseguenziale che le cose andassero in questo modo, perché nel poker, dopo qualche ora, si stabilisce un equilibrio tra i vari partecipanti alla partita. I più forti si riconoscono e raramente si scontrano subito. A essere attaccati sono soprattutto i più scarsi. Mostrare eccessivo rispetto, però, può passare per un segnale di debolezza. Bisogna sempre trovare un equilibrio. Il limite che separa il rispetto dalla reticenza, la reverenza dalla paura. Spesso a fare la differenza è un dettaglio apparentemente trascurabile. A volte è un singhiozzo spezzato in gola, un’improvvisa sensazione di acidità allo stomaco che, come è venuta, passa via in un attimo. Altre volte è la nausea dovuta a un odore che non sopportiamo più. Oppure il contrario. Una scia di profumo che decidiamo di seguire. L’equilibrio perfetto comporta sempre una rincorsa verso di esso. E, durante le rincorse, non si trova mai pace.
I finalisti iniziavano a scemare e io, giocando contro Musta, pensavo a come molte volte quello che abbiamo trascurato nel nostro passato possa riemergere nel futuro e condurci verso i nostri obiettivi. Ogni esperienza, ogni tassello che plasma i nostri ricordi, può rivelarsi fondamentale per agganciarsi a un traguardo futuro. Ciò che nacque grazie a uno spinello sotto uno spicchio di luna in Egitto si concluse sul podio del torneo di Malta. Arrivare tra i primi tre, con un alleato al tuo fianco, rende l’impresa più agevole. Io e Musta eravamo arrivati sul podio: lui secondo e io terzo. Vinsi 37.900 euro e lui ne vinse 53.500, ma entrambi avevamo guadagnato una cosa ancora più importante: un amico. Per quanto retorica possa sembrare questa cosa, nessuno più di me, che ho vinto e perso tanti soldi e altrettanti amici, può dirvi quanto sia vera.
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Il payout del tavolo finale
Al Rione Sanità
Da quel momento diventammo l’uno la nemesi dell’altro. Non c’era torneo dove non fossimo presenti entrambi. I nostri destini si erano intrecciati per sempre Non so cosa mi affascinasse in lui. Forse inizialmente mi faceva tenerezza: provavo un’empatia intensa, nel senso più vicino all’etimologia di questo termine. Il suo essere completamente sprovveduto, in sovrappeso, sudaticcio e nerd oltre i limiti dell’immaginabile, stuzzicò qualcosa in me che fino ad allora non avevo mai conosciuto: pensai di dovermi occupare di lui e di doverlo trasportare nella vita reale. Insomma: doveva capire come si stava al mondo e per riuscirci aveva bisogno di una full immersion di livello avanzato.
Lo invitai così a vivere a casa di mia nonna per quattro mesi e, da quel momento, ci dividemmo anche il materasso. Passavamo il nostro tempo in quella che era diventata una grindhouse. Volevo però che la sua prima lezione su Napoli fosse per lui un marchio incandescente e così, appena atterrati, lo mandai a comprare l’erba alla Sanità.
«Ma sei sicuro?» mi domandò un po’ impaurito.
«Ma certo! Figurati se è complicato andare a prendere un po’ d’erba alla Sanità!»
«È un quartiere tranquillo della città?» domandò.
«Non è un quartiere tranquillo, è il più tranquillo!» gli spiegai con una maschera di entusiasmo, facendo il finto svampito.
Quando Musta tornò a casa si mostrò estremamente sereno e sorridente.
«Che città tranquilla…» ripeteva scuotendo la testa. Musta è sempre stato molto sveglio e andare a prendere un po’ di fumo in qualsiasi quartiere malfamato del mondo non sarebbe stata per lui un’impresa impossibile. Ne aveva vissute di peggiori.
Fu bellissimo per me in quattro mesi vedere quell’orsetto sudaticcio accettare la doccia come soluzione sociale, scegliere e utilizzare un deodorante e, a certe feste, improvvisare anche qualche timido approccio con delle ragazze.