Il paradosso di Salomone, ovvero come siamo più bravi a dare consigli agli altri che a noi stessi. È incredibile come chi scrive sia appassionato di paradossi, schemi mentali e comportamentali ma non abbia mai pensato di accostarlo al poker, il mio mondo da oltre 10 anni.
Ci è voluto l’assist di Barry Carter – che ringrazio per questo e per tutto il contributo che ha dato al poker – per illuminarmi. Questo articolo sarà un ibrido tra i miei pensieri e quelli di Carter, pubblicati originariamente su pokerstrategy.com.
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Il paradosso di Salomone deriva appunto dalla storia del re Salomone, il terzo re di Israele. Di lui si diceva che fosse uomo di grandissima saggezza, tanto che le persone affrontavano lunghissimi viaggi per cercare consigli.
Se però si guardava alla sua vita personale, Salomone era vittima di costanti scelte sbagliate: maniacale verso donne e denaro, non ha mai dato un’istruzione a suo figlio che quando salì al trono finì per rovinare il regno.
Il paradosso di Salomone quindi altro non è che avere grandissima saggezza quando si affrontano problemi di altri, e pochissima o nulla quando si pensa a se stessi.
Io per primo posso rapportarmi a questa situazione nella mia vita quotidiana.
Quando siamo vicini a un problema, non siamo capaci di affrontare la cosa in maniera oggettiva. In altre parole, la nostra componente emotiva attivata dalla nostra vicinanza al problema, entra in scivolata nel nostro pensiero critico.
Ora che ci penso, per quanto non possa dire di essere preparato sulla teoria del poker, a furia di leggere e scrivere articoli mi sono chiari tutti i discorsi di balancing, mixing, realizzazione dell’equity, bluff to value ratio eccetera. Ve li spiego su queste pagine e poi non sono capace di applicarli in game.
“La maggior parte di noi è molto più brava a rivedere e trovare una risposta corretta a una mano quando non sono quelli che l’hanno giocata. Quante volte in uno stream hai cominciato a urlare cosa dovesse fare hero, ed era la move giusta, ma lo streamer non è riuscito a trovarla?
Ho conosciuto molti coach che dicono che l’atto di coachare migliora effettivamente il loro stesso gioco. Spiegare la strategia a un altro fortifica la tua conoscenza, ed espone i punti ciechi da migliorare. Ma forse manca un punto che non viene considerato: quando insegni guardi tutto da una prospettiva più oggettiva. Non pensi agli swing, guardi la mano in senso assoluto.”
La stessa cosa si può ottenere non per forza coachando, ma anche commentando mani sulla community, dei vostri amici, eccetera. C’è anche il valore aggiunto che, se un giocatore più esperto ti corregge, non ti sentirai sulla difensiva non essendo una mano giocata da te.
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La soluzione finale (tutt’altro che semplice)? Come al solito staccarsi dalla propria parte emotiva.
Il consiglio finale di un team di ricercatori che si è occupato del problema è quello di immaginare se stessi come osservatori della propria vita (e del proprio gioco) per ragionare in maniera più saggia sui problemi.
In pratica Salomone avrebbe dovuto chiudere gli occhi e immaginare di camminare per lunghe distanze alla ricerca del consiglio di un uomo saggio, per trovare la risposta ai suoi problemi.
È anche per motivi come questi che la cura del proprio mindset ha importanza nel poker, e consiglio di dedicare almeno un po’ di tempo ad attività fisica e meditazione per rendere più facile questo processo.
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