Lo spunto per questo post deriva da una delle tante discussioni che compaiono sui forum pokeristici.
Non è la prima volta che qualcuno, in totale buona fede, manifesti un certo malcontento nei confronti di questa o quella testata. Qualche esempio?
“Si parla sempre degli stessi“, oppure “Si esaltano reg medi e si trascurano quelli veramente forti” e via dicendo…
Data per scontata la buona fede degli addetti ai lavori, cosa sfugge al lettore comune? Perché alcuni, dal loro punto di vista, percepiscono una disparità di trattamento nell’informazione?
Criteri di selezione
Premesso che un’intervista non è una medaglia al valore, essere dei bravi giocatori non è l’unico criterio per attirare l’attenzione dei media.
Prima di tutto occorre verificare l’onestà e la trasparenza di un giocatore: chi non rispetta le regole e si presta a pratiche illecite come account-sharing, multi-account, collusion et similia, viene puntualmente ignorato dalle testate di settore (salvo cantonate clamorose, anche se una svista costituisce un’eccezione, non di certo la regola).
E di nomi altisonanti, non proprio ossequiosi quando si parla di etica, che possiedono indubbie skill pokeristiche ce ne sono a bizzeffe.
Dar loro visibilità però, significherebbe semplicemente avallare un comportamento scorretto che danneggia l’intera comunità. D’altronde le testate non possono nemmeno ergersi a tribunali della divina giustizia, semplicemente perché non è il loro ruolo.
In secondo luogo non tutti i giocatori si prestano a rilasciare commenti o interviste su quanto fatto ai tavoli. C’è chi preferisce mantenere l’anonimato perché non ha interesse a rivelare la propria identità, chi semplicemente ha vergogna di esporsi o chi, per le più disparate ragioni, non vede di buon occhio la visibilità che un articolo può garantire.
Per chi si scrive?
L’obiettivo di ogni redattore, quando decide di scrivere un articolo, è quello di intercettare gli umori del pubblico e fornire un contenuto che possa destare il loro interesse.
Si scrive per i lettori, non per se stessi. E se i lettori sono particolarmente interessati su una certa tematica (che ricordiamo, deve sempre restare entro i limiti della legalità) approfondire o fornire loro strumenti necessari a creare interazione, la mission è raggiunta.
Senza contare che ogni testata pokeristica produce contenuti di vario genere, che spaziano dalla mera cronaca agli approfondimenti su questo o quell’altro argomento.
A volte sta alla sensibilità dell’autore trovare delle storie o dei filoni che, pur non essendo stati chiesti a furor di popolo, hanno un potenziale enorme a livello di interesse per la comunità di persone alla quale ci si rivolge.
Che senso ha scrivere delle storie?
Un’osservazione tanto banale quanto pertinente. Che senso ha scrivere delle storie su un gioco basato sul calcolo delle probabilità? Non sarebbe più utile limitarsi a produrre soltanto contenuti tecnici o report?
La risposta, ovviamente, è no. Questo perché, molto semplicemente, siamo esseri umani e non calcolatori automatici.
Quando facciamo qualcosa cerchiamo il più possibile di farci guidare dalla passione e questa ha modo di svilupparsi soltanto se supportata da una narrazione coerente e intrigante.
Per fare un esempio concreto riporto uno stralcio di chiacchierata fatta con Mario Adinolfi – noto esponente politico, blogger e giornalista -, che ha sicuramente un’idea ben chiara su quali leve muovere nel mondo della comunicazione:
“C’era un periodo nel quale tutti sembravano essere appassionati di sci. Era il periodo di Alberto Tomba, quando molti di noi si trovavano incollati alla televisione a osservare uno slalom speciale come se si trattasse della finale dei campionati del mondo di calcio. Perché tutti, in un preciso momento, si son trovati a seguire uno sport che, rispetto ad altri più mainstream, rappresenta una nicchia?”
Semplice: è stata creata un’epica del racconto capace di suscitare interesse in chi, fino a prima di allora, non aveva nemmeno sentito parlare di sci.
Pokeristicamente parlando è accaduto lo stesso negli anni d’oro del poker, eppure l’eco mediatica che hanno avuto personaggi come Dario Minieri o Filippo Candio (meritatissima in entrambi i casi, senza ombra di dubbio) è stata decisamente superiore a quella conseguente al secondo posto di Dario Sammartino al Main Event delle World Series.
Insomma, scrivere equivale sicuramente a un’assunzione di responsabilità. Trovare delle storie accattivanti non è un gioco da ragazzi, lo è ancor di meno saperle raccontare nel modo giusto. Ecco perché le storie costituiscono linfa vitale per l’intero movimento: è grazie alle imprese altrui che possiamo scoprire, dentro di noi, la passione per qualcosa di nuovo.
E voi che opinione avete a riguardo?