Jason Koon e una vita di difficoltà che l’ha portato al poker

Mar 30, 2022

jason koon

Jason Koon è uno dei migliori giocatori sul panorama, tanto che il pubblico lo ha portato fino in top 20 nella classifica di Doug Polk.

Quello che forse non tutti sanno, è che Koon ha avuto inizi molto difficili, e che ha dovuto costruire una grandissima forza interiore per arrivare al punto dove si trova oggi.

 

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I primi passi di Jason Koon

Da ragazzino cosa volevi fare da grande e come sei finito per essere un poker player? 

Direi giocatore di baseball professionista. Ero molto serio con il baseball anche durante l’adolescenza. Ho sempre pensato di giocare nelle leghe minori o qualcosa del genere. Poi ho trovato la mia strada, e anche se mi piaceva più il baseball sono stato abbastanza logico da focalizzarmi sulla cosa che mi avrebbe permesso di pagarmi gli studi.

Vengo da una parte molto povera del West Virginia, l’istruzione per alcune famiglie poteva avere un valore, ma io ero la prima persona della mia famiglia ad andare al college. Sapevo di volere una buona educazione, anche solo per il fatto di essere l’unico della famiglia ad averlo fatto.

Non avevo studi extra-curriculari o qualunque dopo scuola da bambino, mentre ora le cose che preferisco fare sono leggere e imparare. Se da bambino mi avessero spinto a costruire questa abitudine l’avrei amata, ma visto che i valori che mi circondavano appartenevano a forza fisica e atletica, sono state le cose che ho fatto crescendo, ed ero anche portato.

Non sapevo, fino all’università, quanto rispetto la liberazione che arriva con la conoscenza e il pensiero, e alla fine mi sono laureato in filosofia.

Poi crescendo sono passato al poker, dopo un infortunio all’anca un mio coinquilino ha suggerito di iniziare a giocare per divertimento, solita storia, e alla fine boom, è decollato. Prima di rendermene conto ero un poker player.

 

Le difficoltà iniziali

Quali sono le sfide principali che hai dovuto superare nella tua vita e che valori ne hai ricavato? 

Ad un certo punto della mia vita sono stato un senza tetto, sono cresciuto molto povero, sono stato abusato fisicamente da mio padre. Ma sono diventato duro e tenace, e mia madre e i miei fratelli hanno instillato fiducia in me.

Mi sono sempre sentito come se avessi qualcosa, una specie di valore, qualcosa di più grande di ciò che ero in quel momento, e questa fiducia mi ha davvero aiutato a darmi la spinta, imparare, migliorare e oltrepassare tutti gli ostacoli.

 

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Ho sempre avuto in mente di potercela fare. All’inizio non avrei mai pensato di arrivare al livello in cui mi trovo ora nel poker, semplicemente perché ogni volta che iniziavo non avevo attorno il gruppo giusto di persone.

Per fortuna alla fine con gli altri giocatori abbiamo trovato valori simili, sviluppato forti amicizie e nel corso di 10 anni siamo migliorati tutti, il poker è la cosa che tutti amiamo, e alcuni dei miei migliori amici sono i migliori giocatori del mondo. 

Mi hanno preso sulle spalle e accompagnato al punto dove sono ora, ed è davvero surreale. Posso competere nei livelli più alti del mondo e sono qui e lo sto facendo.

 

Il rapporto con il padre

Leggevo di Bukowski, ho visto che ha avuto problemi con suo padre, che lo picchiava. Però quando morì, Bukowski ne parlò con una sorta di rispetto. Come si è sviluppato il rapporto con tuo padre? 

È inesistente, ma c’è molto perdono che ho sviluppato nel mio percorso, non ho più alcun risentimento. È stata una cosa che mi ha dato energia negativa, ma mi ha dato l’energia per arrivare dove sono ora. Quella rabbia è stata un motivatore incredibile.

È stato difficile perché a volte quella rabbia non mi ha dato la disciplina di fermarmi, o di tenere la bocca chiusa, ero molto arrabbiato. Ma avevo anche il pensiero fisso che niente e nessuno mi avrebbe fermato.

Crescendo ho capito che è stato qualcosa che mi ha portato avanti, ma che è insostenibile essere sempre arrabbiato per essere motivato.

È stato un lungo processo, ora sento più tristezza per lui che altro. Io non vedo l’ora di avere figli e vederli crescere, e deve essere un peccato avere dei figli da qualche parte del mondo e non condividere con loro le gioie dei loro successi.

 


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